Nella domanda del titolo, come in ogni domanda
del resto, è implicita una riflessione. Innanzitutto fughiamo un equivoco. Nella coincidenza temporale della nascita del Mitorealismo e della diffusione
del virus, alcuni vedono una correlazione. I mitorealisti
sono accusati in maniera ignominiosa dai soliti bruti senza pensiero di avere
sparso il loro meme psichico nel mondo
avendo così favorito la diffusione del virus.
Più poeticamente operano invece i mitorealisti; essi hanno interpretato in chiave di shock linguistico
l’artaudiana irruzione dei segni del caos nel reale, addirittura prima che essa si manifestasse; questa
sincronicità, lungi dall’essere allegoria di un biblico flagello, è già il
segno che il Mitorealismo come movimento di risanamento globale del pensiero si
sta rivelando al mondo. Il mondo ha
paura. E si rintana nella sua gabbia cranica. Il mondo ha ragione. Il pensiero
è da temere, perché il pensiero il mondo lo sovverte, lo destabilizza, per
rimodellarlo poi secondo i suoi paradigmi.
In hoc signo vinces vede scritto
il mitorealista in ogni segno di cui la sua immaginazione si riappropria dopo
il letargo dei segni e dei sensi caratterizzato da millenni di storia
dell’essere e dunque di oblio
dell’essere. E dunque perché non vedere nell’immagine del Coronavirus non solo la
paura e la pestilenza ma anche, ricordiamocele, la magnificenza e la grazia?
Sostiene così qualche devoto della
Croce come redenzione assoluta che Dio Padre impone all’umano traverso il giusto
flagello di sacrosante carestie, guerre, epidemie; contraddicendo il Figlio,
tra l’altro, che parlava di amore, non essendo i tempi probabilmente, nella
Palestina di allora, maturi per affrontare tematiche più profonde.
Semplicemente nel Coronavirus il Mitorealismo
vede il serpente eternoritornante Ouroboros che fa l’occhiolino a Zarathustra,
il quale purtroppo, il destino, si è pisciato sotto dal ridere. Oh folle e sardonica risata di chi sa ancora essere stupito! Stupito dall'eterno ripetersi degli eventi fino a fondere la sua folle angoscia nel crogiuolo di una risata ebbra!
Perché non tanto o non solo la storia ma il mito è ripetizione infinita. L’essenza si ripete, muta solo l’apparenza. Ahimè dispiace per i catastrofisti ma la reale catastrofe incombe, etimologicamente perfetta, solo sull’orlo del puro pensiero dalle ali di colomba.
Perché non tanto o non solo la storia ma il mito è ripetizione infinita. L’essenza si ripete, muta solo l’apparenza. Ahimè dispiace per i catastrofisti ma la reale catastrofe incombe, etimologicamente perfetta, solo sull’orlo del puro pensiero dalle ali di colomba.
Tutto si fonde nello stesso
alambicco di rigenerazione psichica. Attenzione, giova ricordare che l’anima
non è la psiche. In questo contesto, chiamiamo anima lo schermo in cui il film
si proietta, psiche il velo che offusca il riflettore. Su cosa sia il riflettore, lo lascio alla vostra,
anche teologica se preferite, immaginazione. Questo kolossal mondiale che ha nome Coronavirus,
sottotitolato in tutte le lingue, è un film a cui nessuno può sfuggire. “Non è uno
spettacolo, ci sono i morti. Per loro lo spettacolo è finito.” Grida una
voce dal fondo della sala. È la solita prefica inferocita? Chissà, la sala è
buia, non si vede nulla, la voce è di una donna di mezz’età, tutto qui. E così
la farsa assoluta di una spettacolare apocalisse va avanti, mantenendosi sul piano della sua solennità inquietante per
tutti, in apparenza, tragica commedia nella sua eternoritornante essenza, per coloro che sanno
perlomeno, concedetecelo, di non sapere quindi di non possedere la chiave d’oro
di un’interpretazione che sia più vera delle altre.
Ah gli analfabeti del mito
ignorano che tutto è trainato da forze caotiche che superano anche la fantasia di un Amleto;
così parlano sempre di nulla ma in coro
e ti assordano con il chiasso della loro pestilenza emotiva, soprattutto attraverso
radio, tv e giornali, come al solito, tra
l’altro, e da-per sempre, superfluo dirlo.
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