Sono semplicemente stanco di fissare
vertigini, intrappolare attese, mescolare nascite e addii, esplorare il
fondo delle parole per cantarne il
silenzio profondo, inattingibile e non umano.
Sono stanco di essere e di non essere, di silenziare
il linguaggio con l’esito di una parola enigmatica, sono stanco di manifestare
l’evanescenza che eternamente m’inchioda a un’incomprensione perenne.
Esito
sulla soglia del Tempio, dove Dio è l’ eterna acqua dove annega il transitorio
Tempo, dove Dio è lallazione e balbo
parlare di una Sfinge che non trova Edipo e allora la Peste trionfa e il
suo enigma sibila nella caverna dove il risveglio non è ammesso dalla legge
plutonica vigente, e dunque trovo che l’alba sia lontana in questo buio senza
stelle né cielo ma improvvisamente so
che il mattino verrà soltanto per cancellare meglio la tenebra di cui
consiste la nostra aleatoria sostanza.
Non so commentare la morte, né dare alla vita
un linguaggio pieno di senso, non so illuminare il vento né svuotare il vuoto
dei resti di un Dio che m’implora di esistere, non so cantare a perdifiato la
lode che ci libera da questa opprimente tristezza, non so annichilire il
lamento eterno della caducità, non so tracciare il sentiero che conduce la
poesia a vagare perdutamente in cerca di
una notte in cui far cadere la propria luce incorrotta, non so danzare fino a
risvegliare la stella del Mattino, giacché nessuno specchio può riflettere Dio
o la sua assenza, non so afferrare le stelle e gettarle sulla terra, non so
innalzare fino all’inno questa lamentazione funebre, non so che indossare il
silenzio ahimè, come la maschera
definitiva, affinché il vuoto acquisti
un volto e nella terra senza destino io possa essere finalmente Nessuno, come
tutti, felicemente recluso nella Chiacchiera,
il cui nome è Mente, whose the
name is Mind.
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