Siamo impegnati in questa
battaglia di ombre e la nostra solitudine è inscalfibile. La terra è ferita
nella sua vertigine e canta la sua melodia più inconoscibile e inconsolabile,
per disorientarci e la morte sussurra il suo elogio alle orecchie di coloro che
sono da questo canto terrestre sommersi.
Tutto precipita in un aldilà di partenze e di addii, tutto si maschera di
follia e l’apparenza sottomette l’essere alla sua malia.
Tutte le rime
congiurano per instaurare una segreta armonia su resti fumanti delle macerie. È
sempre Dio, dicono, sicuramente esploso e polverizzato. Scopriamo così la
solitudine che precede ogni creazione e ci beiamo di questa scoperta imbecille.
Giacché l’increato è il reale metodo
della nostra follia che pretende e merita il più assoluto rigore e la più
adamantina delle necessità e non sa che farsene di un Dio che pone un limite
all’imperio illimitato del vuoto, il cui nome in codice è:
Essere.
Essere.
Noi non altro limite scegliamo che quello deciso
da Ananke, che della Libertà ha fatto la
sua serva, al principio delle fatali
memorie che il caos ha estratto intatte dal cosmo.
Il virus della parola poetica istruisca le
genti a ricordare che è proprio nelle parole la luce del vento che libera e
solo la musica può risanare il gesto di
una misericordia solenne, senza fini e senza scopi.
Ecco a voi una preghiera per la siccità che il mare insegna al deserto. Ecco a voi una fresca folata di illusione per le torride canicole della Verità. Ecco che rapisco dalle stelle il loro meccanismo e decido che su tutti gli Edipo del mondo trionfi l’enigma delle sfingi la cui domanda rimane il senso profondo che anima il mondo per un’ eternità che non ammette dilazioni e aldilà.
Ora sento venire alla luce un dio che nasce dalle ruminazioni pigre di una
ragazza al bar e che mi implora di custodire nel suono del vento il canto delle
sirene e la musica delle sfere; affinché una melodia necessaria ci liberi dall’ordito
mentale che il mondo nella morsa del
Nulla imprigiona.
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