Fertile alfabeto di spazi e
arcobaleni dentro la conchiglia in cui accade il mondo, sonoro come il divampare di tutte le nascite, mentre
il corallo di un’olimpica risata accresce
il mare delle attese nel deserto senza fretta, se si compiono tutte le
apoteosi e nessuna ipotesi su Dio
tramonta, là dove si attorce il serpente
e brilla all’orizzonte un’oasi di conoscenza. Ecco che sto di nuovo tramando un
culto sulle macerie di un Dio tutto casa e chiesa, vittima di questa paranoia
edenica, quando finirà il ciclo dei
peccati nel sangue di Adamo? Ditemi? Quante crocifissioni, quante lapidazioni,
quanti roghi, servono per espiare
l’innocenza che forgiò questo mondo vistosamente e voluttuosamente colpevole?
Il serpente lo sa e cela nel suo guizzo la verità rubata alla tarantola,
l’estatico piacere notturno che ha sottratto al pipistrello e si vanta come un
pavone di aver corrotto Eva, insegnandole il sapere segreto e stregonesco di
Lilith e di averle instillato una
domanda fatale: si Deus unde malum? Viviamo tuttora dentro l’eco di
questa sconcertante domanda.
Ovunque mormora la sua risposta derisoria la tarantola, ed
è nel volo del pipistrello che si
condensa tutta la saggezza che cerca una
causa, un senso, un scopo... L’indovino legge la storia umana nell’ombra
lasciata sulla pietra da questo volo antico.
Il serpente, dal canto suo, cela la risposta nel veleno che infligge ai
prescelti cui il caos ha tatuato nell’anima una legge casuale.
L’essere è isolato dal fato,
nella terra in cui la domanda cala come una ghigliottina, Dio parla da solo al proprio orecchio al Mercato
dei simboli e nessuno intercetta la sua
incontenibile assenza. Tutto tace di un silenzio caro ai serpenti, svezzato
dall’aquila, circonfuso di pietà, che la parola non scalfisce e la musica
venera come suo principio immobile. Tutto ruota nella danza dello spavento
sublime; se sparire è il sogno impossibile che fa ruotare la terra dell’esilio,
in cui noi gustiamo una perenne evanescenza, se sparire è allora tutta la
ventura delle venture, ricordiamo che l’eternità è fatta di istanti come
l’oceano di gocce e torniamo illesi sulla terra della nostra origine, se la Storia umana è solo
l’incubo di un’ ombra che Dio proietta sul Muro del Cosmico Pianto, allontaniamo da noi il calice amaro della
Verità, se questa e la Verità, beviamo piuttosto la cicuta della Menzogna,
oppure tramontiamo dentro una consapevolezza più antica di Dio, della Verità e
della Menzogna e allora amen non pensiamoci più, adieu, addio, chapeau.
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