martedì 24 marzo 2020

Metodologia del silenzio





Il Tutto custodisce la sua infinita vanità come la più dannosa delle scoperte; è il momento in cui né Essere, né Dio, né Verità, né Infinito, né Tempo, possono più risuonare nella potenza di rivelazioni, ma si accorgono di essere solo parole, con cui la mente trastulla il suo niente.

Il silenzio allora è l’essenza di una parola che si spegne e il deserto cresce fino a racchiudere l’intero universo nella sua caduta di folgore. Anche parole come Caos, Cosmo, Fato servono solo ad alimentare il macchinario dell’insensato in cui la solitudine scolpisce il nostro volto e indossiamo la maschera del Vuoto.

Nessuna parola può più venirci in soccorso, nessun senso anzi, tutto è trappola, come mettere il vento nella clessidra e numerare la lontananza fra noi e il Tempo. In questa Bouville senza pioggia suona la condanna definitiva e la parola abbandona il suo trono da pezzente e doppiamente miserabile si trascina in cerca di un’elemosina di bellezza che sa non arriverà. E l’inferno è compiuto come dimensione eternamente priva di luce certo, ma anche di buio, come il non luogo di un’assenza originaria. E l’inferno detta la sua legge proverbiale: “Tutto è vano! Anche questo sapere che ti strangola! Tutto è vanità, un perseguitare il vento, un sigillare il vuoto".

 Così fra vento e vuoto l’area semantica è un sentiero che reca in sé il segno e il sogno come la sua trascendente malinconia. Essere fuori dall’istante ma eternamente. Essere una statua scolpita da una parola che non sa mutare e non sa morire! Che cosa dice il vento di colui che può comunicare solo la propria dissolvenza? Silenzio, tu mi abiti come la parola più potente e in questa potenza mi dissolvo. Il tacere delle nuvole m’impietra. La parola stessa cade in un pozzo senza fondo ed io ne divento l’eco. Non è diverso essere Dio, temo.

Nessun commento:

Posta un commento